Dalla fine degli anni 60 all’inizio degli 80 – o da Easy Rider a Toro scatenato, come ha scritto qualcuno – Hollywood rinacque e divenne new. Nuovi registi, nuovi produttori, nuovi sguardi imposero un modo diverso di fare cinema: libero, critico, autocritico, cinefilo, autoriale. Cosa resta di quella stagione, dei suoi capolavori, dei suoi fallimenti e della sua presunta rivoluzione?

Dalla fine degli anni 60 all’inizio degli 80, o da Easy Rider a Toro scatenato come recitava il titolo di un libro di Peter Biskind (che poi aggiungeva: How the Sex, Drugs and Rock ‘n’ Roll Generation Saved Hollywood), Hollywood rinacque e divenne new. La mitologia di quella stagione ha contribuito a formare l’idea di evoluzione del cinema americano: dal mondo della tv, dalle scuole di cinema e dal sottobosco delle produzioni indipendenti (nel segno di Roger Corman), lungo tutti gli anni 70 un sistema in crisi creativa e finanziaria rinacque dalle proprie ceneri affidandosi a un pugno di giovani registi (Coppola, Spielberg, Scorsese, Demme, Friedkin, Lucas, Bogdanovich, ma pure figure di una generazione precedente come Altman, Peckinpah, Penn) e raccontando con sguardo critico, rabbioso, spesso allucinato, la realtà americana del tempo segnata dalle scorie del Vietnam e da anni di conflitti sociali e rivoluzioni culturali. Con il tempo la New Hollywood, come venne poi ribattezzata, è diventata un modello, uno stile, un sentimento; per molte generazioni di spettatori anche un primo amore mai dimenticato. Cosa resta oggi di quella stagione, spesso ripresa e rimodulata, ma quasi mai messa in discussione?