PRONTUARIO PER IL LABORATORIO DI GIORNALISMO CINEMATOGRAFICO (WE'RE BACK)

Prontuario per il  LABORATORIO DI GIORNALISMO CINEMATOGRAFICO.

Sostiene Vincenzo Buccheri, in un articolo intitolato La volagarità nella critica e nella scrittura. LE PAROLE SONO IMPORTANTI?, che:
«Si scrive per amore del linguaggio, e per odio contro il linguaggio comune. Si scrive per non essere schiavi delle parole altrui. Per non essere parlati [...]. Ma c'è un problema: oggi la vera caduta di gusto è scrivere di sé stessi, cedere al narcisismo di massa (Gadda, La cognizione del dolore: "L'io, l'io!... Il più lurido di tutti i pronomi!... [...] I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero"). Inoltre, cosa ancora più imperdonabile, è volgare scrivere di sé senza [...] nemmeno essere interessanti. 
"Accuso di assassinio le frasi fatte", dice Karl Kraus. Dove per frasi fatte Kraus intende le metafore cristallizzate, divenute lessico ordinario, quindi stupide, violente, sostanzialmente volgari. [...] Il punto non è quale linguaggio usare, ma se e come rimettere in discussione il linguaggio (e gli schemi mentali che possono ingabbiarci). Nella scrittura, allora, la volgarità mi sembra coincidere con la vittoria del luogo comune, che significa morte dell'esperienza individuale, trionfo del "si dice", del gergo, della mistificazione. 
Ma non meno volgare mi sembra anche [...] chi sacrifica l'onestà del giudizio critico in nome di una rapida fulminazione intellettuale [...].
Trovo volgare nella critica l'accecamento cinefilo, la passione senza argomentazione, il disprezzo per l'intelligenza in nome del feticismo dell'immagine [...].
Lasciarsi andare all'emozione, ai trasalimenti. Essere troppo colloquiali. Essere troppo pedanti. Non avere niente da dire, ma dirlo lo stesso. Stiracchiare una trovata da nulla per raggiungere le dieci cartelle. Sostenere una cosa e il suo contrario [...]. Fare sfoggio di cultura, o di acutezza [...].
Ripetere la stessa parola nella stessa frase, o lo stesso concetto nello stesso articolo. Cadere nella rima involontaria o nella cacofonia. Stendere periodi involuti [...]: il rispetto per il lettore (che non va vezzeggiato ma nenache disprezzato o ignorato) mi sembra davvero un precetto etico, da non dimenticare mai.
Per paura di essere volgari, è chiaro, si può anche rinunciare a scrivere o a girare film. Decisione rispettabile. Alla quale, però, continuo a preferire il coraggio di chi scrive e filma facendosi mille problemi, chiedendosi che cosa è già stato detto e se ci sono altri modi per dirlo...».